(di Riccardo Belvedere, 3 Liceo Scientifico Sportivo)
Il 23 maggio di ogni anno, ricordando il giudice Giovanni Falcone ucciso nell’attentato di Capaci nel 1992, si celebra la giornata dedicata a tutte le vittime della mafia: il pensiero va a Paolo Borsellino, anche lui giudice, amico e compagno d’infanzia di Giovanni Falcone; a Peppino Impastato, Ninni Cassarà, Boris Giuliano e tanti altri.
Grandi professionisti ed anime buone che nella loro vita hanno scelto di non pensare solamente a sé stessi, ma anche al pericolo cui andava incontro l’intera società: infatti soprattutto tra gli anni ottanta e novanta, la Sicilia viene vessata da associazioni mafiose che hanno creato nel territorio una macchia indelebile.
La Sicilia è, infatti, conosciuta in tutto il mondo per la mafia e la sua storia. E talvolta viene additata come la regione italiana dove la mafia, appunto, ha sempre spadroneggiato.
Per “associazione mafiosa” viene indicata quell’associazione per delinquere che si avvale della forza di intimidazione per acquistare in modo diretto il pieno controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni o vantaggi ingiusti per un fine di lucro personale.
Tra le associazioni mafiose più importanti vi è quella di “Cosa Nostra”, termine utilizzato da Lucky Luciano e, in seguito, ripreso anche da Totò Riina e molti altri mafiosi.
Proprio in considerazione del fatto che la “Giornata della Legalità” è il momento della commemorazione di tutte le vittime della mafia e non solo del giudice Falcone -maggiormente viene ricordato il 23 Maggio- vorrei soffermarmi in particolare sulla figura di Giuseppe Impastato.
Giuseppe detto Peppino, nonostante appartenesse ad una famiglia legata a “Cosa Nostra” (il padre Luigi, lo zio ed altri parenti erano infatti notoriamente asserviti al potere mafioso di Cinisi), decise subito di rompere i legami con il padre che lo mandò via da casa, e scelse di avviare un’attività politico-culturale di sinistra in palese contrasto alla mafia.
Nel corso della sua vita aprì un giornalino, partecipò ad attività comuniste e lottò per la costruzione della terza pista dell’aeroporto di Cinisi. Dopo di ciò decise ancor di più di combattere la mafia, fondando nel 1977 “radio Aut”, una radio libera in cui denunciava tutti i crimini e gli affari mafiosi di Cinisi e Terrasini.
Tra i programmi più seguiti c’era Onda pazza a Mafiopoli, trasmissione in cui Peppino derideva mafiosi e politici.
Nonostante le intimidazioni, minacce e critiche, nel 1978 si candidò nella lista di Democrazia Proletaria per le elezioni comunali, ma non fece in tempo a sapere l’esito perché venne assassinato colpito con un grosso sasso, la notte del 9 maggio 1979, su commissione del capomafia locale Gaetano Badalamenti.
La sua morte fu da subito camuffata come un suicidio e per infangarne l’immagine, sotto il corpo del ragazzo venne posto del tritolo sui binari della ferrovia che collega Palermo e Trapani.
La scelta di approfondire la figura di Peppino Impastato nasce proprio dal coraggio che egli ha espresso e dimostrato a chiunque, nonostante l’origine mafiosa della sua famiglia.
Peppino ha dimostrato che non si deve avere paura della mafia e che bisogna sempre lottare per ciò che si desidera anche se non si raggiunge l’obiettivo. Egli è morto con la consapevolezza di aver provato a lottare contro la mafia e -pur non avendola sconfitta- ha scelto di non tacere davanti alle intimidazioni mafiose.
Per cercare di arginare il capitolo mafioso in Sicilia, nei drammatici anni ’80 e ’90 si svolse il maxiprocesso: un processo penale celebrato a Palermo (in aula bunker del carcere Ucciardone) per crimini di mafia e che deve il nome alle sue grandi proporzioni: 475 imputati, circa 200 avvocati difensori.
In primo grado il processo si conclude con 19 ergastoli e pene detentive con un totale di 2665 anni di reclusione: si tratta del processo penale più grande mai celebrato al mondo con una durata che – considerati tutti e tre i gradi di giudizio- andò dal 10 febbraio 1986 al 30 gennaio 1992.
Nel 1992 persero la vita due storici giudici che hanno combattuto la mafia: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. A circa due mesi di distanza, in due terribili attentati mafiosi: la strage di Capaci e la strage di via D’Amelio, avvenute il 23 maggio e il 19 luglio dello stesso anno.
Entrambi, animarono la loro vita con la passione per il lavoro, svolgendolo al meglio. Giovanni e Paolo strutturarono il pool antimafia nato da un’idea del giudice Rocco Chinnici e già reso operativo da Antonino Caponnetto: si trattava di una squadra di magistrati specializzati nel perseguire reati di criminalità organizzata, con l’idea di un coordinamento nelle indagini di mafia prima di allora sconosciuto.
Uno schema dettagliato dell’associazione di stampo mafioso e delle sue logiche delinquenziali fu offerto dal mafioso e collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta che -dopo il suo arresto- decise di rendere preziose dichiarazioni al giudice Falcone; dichiarazioni che finirono per far crollare le certezze di “Cosa Nostra” creando un terremoto all’interno dei clan mafiosi.
In seguito anche a scelte incerte sull’indicazione chi poteva continuarlo al meglio, il pool antimafia comincia a riscontrare i primi problemi interni che lo portano ad essere sciolto nell’autunno del 1988.
Giovanni e Paolo, mettendo a rischio la propria vita, verranno per sempre ricordati da tutti per la dedizione e la fatica di quegli anni, per l’incessante e scrupoloso lavoro che, scuotendo le coscienze sociali, li ha portati alla morte.
E’ per questo che non ci sarà mai un “grazie” bastevole a ricompensare i loro sacrifici.
Al giorno d’oggi, nel 2023, viviamo in una situazione che -fortunatamente- non è più quella di prima: la mafia non è scomparsa, ma viene ricordata ogni giorno con la paura di una nuova recrudescenza.
Ormai non è più “evidente” come negli anni ’80 e ‘90, ma continua in silenzio ad alimentare la delinquenza nel traffico di droga; spesso si insinua nella corruzione dello Stato, e il più delle volte coinvolge le zone più degradate di Palermo e dei territori limitrofi, dove le condizioni culturali precarie agevolano la nascita di nuove forme di mafia.
Credo che ogni nostro piccolo gesto sia di grande aiuto a chi -con coraggio ed incredibile altruismo- dedica la propria vita a svolgere una professione nel tentativo di fare del bene alla società.
L’insegnamento di Giovanni e Paolo, di Peppino e delle altre tantissime vittime di mafia, ha portato la nostra Palermo ad una nuova ed indimenticabile pagina di storia.