Stereotipi e vite vissute: i maturandi riflettono sui luoghi comuni del carcere

La realtà del carcere reca con sé l’idea del pregiudizio, dell’etichetta sociale, del vincolo perpetuo di una colpa da espiare. 

La sfida attuale della nostra scuola e delle associazioni che collaborano attivamente con noi è quella di abbattere il muro della diffidenza e della paura che allontana i giovani dalla ricerca di quella dimensione umana e spirituale che è obiettivo formativo prioritario del Gonzaga Campus.

Grazie al prezioso lavoro della Cooperativa sociale “Al Reves” e alla partecipazione attiva dell’Associazione Spondè Onlus, si è cercato di sensibilizzare le classi di maturità ad un tema delicato e di fondamentale importanza nel percorso di crescita dello studente ignaziano: un’analisi approfondita della “cultura dello scarto” di cui Papa Francesco ha più volte ribadito l’aberrante e pericolosa deriva.

Qualunque sia il pregiudizio che alimenta discriminazione ed allontanamento, la “società del consumo” finisce per scartare non solo oggetti ma anche persone, annientando ogni forma di empatia ed immedesimazione nella altrui condizione. 

Esseri umani al margine, soggetti mentalmente fragili, anziani, senzatetto, anime spesso private della dignità del conforto e -nel caso di specie- detenuti e detenute, sottoposti quindi a misure limitative della libertà personale.

In un contesto simile, il lavoro -da sempre considerato diritto supremo nel garantire a chiunque un’esistenza libera e dignitosa- diventa motivo di riscatto e strumento di giustizia riparativa volto a realizzare la funzione rieducativa della pena come indicato dall’articolo 27 della Costituzione italiana: una pena efficace con effetto deterrente, che mai può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità ed obbligatoriamente tesa al reinserimento sociale del condannato.

La Cooperativa “Al Reves” (termine spagnolo che significa “Al contrario”, ad indicare la scelta del cambiamento) ha creato e gestisce all’interno del carcere Pagliarelli un laboratorio di riciclo tessile, grazie al lavoro di tante detenute: una vera e propria sartoria dove è possibile scoprire nuove capacità ed investire in un’attività di grandissima valenza formativa, utile anche per il futuro reinserimento lavorativo dei carcerati. 

Lo scarto tessile diventa metafora dello “scarto” umano: pezzi di stoffa destinati al rifiuto che, combinati e cuciti, danno vita a cestini di tessuto, ad elastici per capelli, a foulard, a piccole bomboniere da matrimonio.

Le reazioni dei nostri alunni all’incontro e alle testimonianze riportate sono state particolarmente sentite: domande molto interessanti ed interventi costruttivi carichi di sana curiosità verso un contesto totalmente nuovo; talvolta manifestazioni di comprensibile diffidenza verso un sistema di giustizia che assicuri realmente un’effettiva “riparazione” degli errori commessi.

In tanti si sono chiesti quanta verità ci sia in serie televisive incentrate sulla realtà del carcere: una fra tutte, “Mare fuori”, divenuta molto popolare tra i giovani e che racconta uno spaccato di vita vissuta in un Istituto Penitenziario Minorile di Napoli.

Storie che si intrecciano, vicende personali di difficile risoluzione, detenuti minori di età appartenenti a contesti familiari diversi, che finiscono per condividere la medesima condizione di emarginazione sociale, accompagnati ed aiutati -nella finzione così come accade nella realtà- da professionisti impegnati nell’ambizioso progetto di suggerire ai ragazzi una scelta di vita diversa dalla criminalità.

Nelle parole dei nostri alunni si legge la giusta consapevolezza dell’illecito penale e la conseguente responsabilità nell’allontanare ogni forma di delinquenza, minorile e meno che sia.  

A ciò si aggiunge la bellezza della loro dimensione umana che -nonostante la loro giovane età- è un meraviglioso strumento di misericordia che non subisce pressioni dai pregiudizi che invece, spesso, appartengono all’età più adulta.

Una profondità d’animo che non si lascia convincere solo dai fatti, ma che si interroga sulle inquietudini, sulle solitudini, sulla disperazione di ogni essere umano.

Giovanni Falcone diceva sempre “che le cose siano così non vuol dire che debbano andare così; solo che quando si tratta di rimboccarsi le maniche ed incominciare a cambiare, vi è un prezzo da pagare, ed è allora che la stragrande maggioranza preferisce lamentarsi piuttosto che fare”.

L’istituzione scolastica è il baricentro del cambiamento, lo strumento di inclusione umana per eccellenza che necessita di cultura e di coraggio per cambiare le cose, combattere la criminalità ed abbattere ogni forma di pregiudizio ed emarginazione sociale. 

La scuola sceglie di “fare” ogni giorno e contrasta ogni forma di chiusura, fisica o mentale che sia.

“Colui che apre la porta di una scuola, chiude una prigione” – scriveva Victor Hugo.

Serena Vacante

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